In questi giorni riflettevo con i miei alunni del
triennio, dell’importanza di avere la competenza sociale di essere “empatici” e
proprio mentre spiegavo la teoria di Goleman mi sono trovata a riflettere di
quanto sia impegnativo e faticoso calarsi nei panni dell’altro.
Nella vita di ognuno di noi ci sono momenti in
cui è necessario accantonare le tragedie personali e prenderci cura di chi, in
quel momento,. sente il bisogno di trovare in noi un’ancora a cui affidarsi e
confidarsi.
Non con tutti siamo disposti ad “aprirci all’altro”.
Per far questo sentiamo la necessità di confidarci e affidarsi, ma colui che ci
dona il suo tempo, la sua comprensione, la sua disponibilità, cosa raccoglie di
noi?
Io ad esempio mi confido con quelle persone di
cui mi fido, che mi ascoltano e non mi giudicano, che con schiettezza mi dicono
il positivo e ancor di più il negativo del mio intendere, proprio perché cercano
di aiutarmi a valutare la complessità che mi sta intorno e che non sempre
riesco a cogliere perché occupata a risolvere il “problema” che mi assilla.
Da parte mia cerco sempre di essere “accogliente”,
di comprendere le lacrime che stanno al di là del sorriso, di osservare ciò che
istintivamente gli occhi non vedono…ma so per esperienza personale che i
fardelli sono pesanti, che le negatività raccontate restano addosso e si
impregnano di vita vissuta, e tante volte, proprio perché la “confidenza altrui”
non ci lascia indifferenti, si incarna nelle nostre emozioni, la malinconia, o
un velo di tristezza ci fa compagnia quando non dobbiamo essere propositivi con
gli altri, quando il silenzio e un po’ di solitudine ci affiancano e ci fanno
compagnia.
Impariamo tutti a osservare e a non vedere, ad
ascoltare e non udire, a riconoscere l’angoscia dietro al sorriso, ad essere
gentili con tutti coloro che spesso neppure ci danno il buongiorno perché troppo
sommersi da paure ed angosce difficili da gestire…e talvolta, non pronti a
condividere.
Negli anni ho imparato ad accettarmi, con i miei
pregi e difetti, ad abbattere il muro che mi tiene isolata, a far emergere
tutte le emozioni, sia positive che negative, per poi essere in grado di
accogliermi e abbracciarmi semplicemente per quella che sono.
Scrivo perché mi fa star bene…la parola è un
modo per porre in luce emozioni e sentimenti, che se accettati, possono far sì
che oltre a star meglio con noi stessi si riesca ad essere empatici con gli
altri.
Ecco…a Monsummano Terme un po’ di pioggia…la
neve forse inizia sciogliersi e la vita riprende la sua dialettica esistenza
tra un sorriso e un malinconico ricordo.
(da “Le Cianfrusaglie Preziose” di AnnaMaria)
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